
La Montessori sbagliata. I bambini selvaggi tra auto-apprendimento e assenza dell’imitazione
La Montessori sbagliata. I bambini selvaggi tra auto-apprendimento e assenza dell’imitazione
Parlare della Montessori in pedagogia è come parlare del Sacro Graal, del Totem di una teoria ma soprattutto di una pratica educativa che ormai è entrata a far parte degli studi di ogni maestra d’asilo occidentale e anche dell’immaginario collettivo di tutti noi.
Libri, film, riviste specializzate e non, giochi, attività, blog e corsi vari ne portano il nome quasi a cavalcare l’onda. In realtà come spesso accade con le mode, ne viene fuori un metodo snaturato, semplificato a tal punto da renderlo facilmente accessibile e ripetibile anche dai non addetti ai lavori e nei più svariati contesti. Un metodo Montessori à la carte, prêt-à-porter.
Pacchetti di informazioni più che un percorso con un sistema fondante. E quando si parla di educazione gli sbagli si pagano sempre. Il bambino non è come una lavagna. Non si può pensare di scrivere, cancellare e riscrivere. Quello che si fa o si dice, quello che non si fa o si dice rimane, e cambia per sempre la mente del bambino. Per questo parleremo della Montessori “sbagliata” che un po’ come nelle ricette rivisitate, oggi ha perso un po’ della sua origine, negli ingredienti e nel metodo di preparazione.
Un pò di storia…
La Montessori è stata principalmente un medico che si è occupata di bambini in contesti di difficoltà sociale ed economica nella Roma dei primi del 900. Lì grazie ad un incarico ricevuto dal Ministero fonda la sua prima “Casa dei Bambini”, un asilo che accoglie bambini da 3 a 6 anni. Ricordiamo che la visione dell’infanzia era del tutto diversa da quella che abbiamo oggi. Gli storici non a caso parlano di “infanzia negata” e di “marginalità minorile”. Infatti i bambini che accolse questo primo progetto erano perlopiù lasciati da soli a casa, o in strada mentre i genitori erano a lavorare. Nei suoi studi fu ispirata dalla scuola francese di Itard e di Séguin che avevano messo in pratica il primo vero metodo per i bambini “idioti” fatto di osservazione e strumenti (giochi) educativi. Itard è conosciuto per altro per il tentativo di rieducare Victor, il famoso bambino selvaggio dell’Aveyron. Si racconta che fu ritrovato nei boschi francesi mentre vagava nudo in una difficoltosa stazione eretta, si cibasse di soli radici e patate, non comunicava né a voce, né a gesti all’età presumibilmente di 10 anni. Dopo vari tentativi di risocializzazione e tante fughe fu affidato al nostro Itard, che tuttavia non riuscì mai a rieducarlo, ad insegnargli il linguaggio, né una forma base di comunicazione. Per anni si parlò di Victor come il prodotto della mancata educazione, dell’assenza del concetto di famiglia, di casa, di istruzione, di socializzazione tra pari.
È il risultato della negazione stessa di ciò che come uomini ci definisce e ci rappresenta. Dagli studi di Itard Maria Montessori prese spunto per affinare il suo metodo basato principalmente sul bambino, sulle sue aspirazioni, sui suoi interessi, sulle sue motivazioni, sulle sue abilità e a come potenziarle. Iniziò ad elaborare il suo metodo pensando principalmente ai bambini “idioti”, quelli che secondo lei avevano un deficit di tipo pedagogico, piuttosto che medico, proprio come Victor il bambino selvaggio. Poi comprese che il suo metodo poteva estendersi a tutti i bimbi, anche a quelli “normali”.
La rivoluzione
E iniziò quindi a rivoluzionare il modo di intendere l’infanzia e il bambino nell’immaginario collettivo portando in tutto il mondo la sua “scoperta del bambino”. Del suo metodo si ricordano sempre i materiali, rigorosamente di legno, gli spazi e gli arredi a misura di bambino, e l’apprendimento per prove ed errori e la capacità del bambino di auto-correggersi. Oggi sia i materiali (i giochi) che il primato dell’auto-correzione sono discutibilmente messi in pericolo dalla massificazione e semplificazione del metodo Montessori. I giochi erano di legno, ma erano poveri di colori. A volte non erano nemmeno colorati o erano semplicemente dello stesso colore.
Questo non aveva a che fare con il gusto della Montessori o con una questione economica. Faceva parte del metodo. I colori semplici servivano a far concentrare l’attenzione dei bambini su altre peculiarità quali le forme geometriche o sugli insegnamenti quali la coordinazione etc… Inoltre erano molto spesso auto-correttivi e cioè “contenevano” l’errore in sé. Se il bambino sbagliava e non seguiva il senso logico capiva subito di aver fatto un errore perché non riusciva a finire il gioco. Per esempio nella torre degli anelli dove l’insegnamento è quello che riguarda la coordinazione oculo-manuale e la categorizzazione dal più piccolo al più grande, gli anelli devono avere diverse grandezze e la “torre” degli anelli deve avere forma conica, così che si esclude che il bimbo sbagliando possa completare il gioco. Dai primi del ‘900, anni in cui si muoveva la nostra Montessori sono stati teorizzati molti altri modi per apprendere che quello per prove ed errori. Imitazione motoria, sociale, apprendimento associativo, cognitivo, produttivo, insight, imprinting, etc…
Modi che erano già vivi e vegeti nell’asilo montessoriano ma che non erano stati ancora “scoperti”. Ed è qui che nasce il misunderstanding, il malinteso, la ricetta sbagliata. Anche se la Montessori non ci parla direttamente di questi altri modi di imparare, il panorama contemporaneo è pieno di conferme che ci vengono delle neuroscienze sulla valenza del metodo montessoriano e sui tantissimi modi di imparare che venivano stimolati nei suoi asili. Così dopo tanti anni è passato erroneamente il concetto che il bambino debba giocare da solo perché la Montessori dice che il bambino è dotato di una mente assorbente e da solo deve esercitare la libertà nell’azione, nel movimento e che il maestro deve imparare ad osservare la vita stessa che si muove. In realtà la Montessori scrivendo quelle parole si scagliava contro un sistema scolastico molto rigido dove l’insegnante aveva un ruolo centrale nella vita della classe e disponeva di regole, file, tempi, punizioni, attività etc…e per lunghi periodi i bambini stavano seduti ai banchi mentre l’insegnante impartiva la sua lezione frontale.
Infatti la Montessori non ha mai detto che l’educatore se ne deve stare seduto semplicemente a guardare ma precisa nei suoi vari testi che la libertà che hanno i bambini è sempre limitata dall’interesse collettivo e che spetta alle maestre coordinare e guidare la classe, intervenendo in caso di liti e aggressività e mostrando ai bambini modelli di azioni e rappresentazioni di come si perseguono gli obiettivi di gioco.
Nella vita quotidiana
L’altro malinteso riguarda il voler utilizzare il metodo Montessori al di fuori del contesto scolastico, di asilo e di riportarne le caratteristiche fondamentali magari all’interno dei contesti di vita quotidiana, a casa per esempio. Così capita che presi dalle migliori intenzioni e dopo aver letto qualcosa sul metodo Montessori ci siamo convinti che nostro figlio unico debba giocare e sperimentare da solo. Se stiamo facendo questo, molto probabilmente stiamo tornando a quel bambino selvaggio dell’Aveyron, e alla negazione dell’infanzia che proprio la Montessori combatté con tutte le sue forze da scienziata e da donna e che contribuì con il suo metodo a debellare dalla storia.
Il mio consiglio è…
La novità del metodo Montessori riguarda soprattutto il mettere al centro il bambino quindi, a casa, il consiglio che mi sento di dare è quello di osservarlo bene e partire dai suoi interessi per iniziare a proporre giochi che possano soddisfare i bisogni della sua “mente assorbente” in questo progetto di crescita per il bambino e per noi.